Pubblico l’adattamento del mio intervento all’evento co-organizzato dal circolo PD di Fara in Sabina, SPI CGIL – Lega Sabina Salario e MenteLocale-odv, associazione di cui sono fondatore.
Per cominciare, come MenteLocale, vorrei ringraziarvi per esser qui presenti. Vorrei ringraziare, poi, gli ospiti per aver aderito a questo momento di confronto a cui provo a dare un contributo.
Prima di entrare in tema, voglio spendere due parole a supporto del popolo ucraino, vittima di una invasione criminale. La guerra è la più ingiusta delle atrocità e a pagarne le conseguenze sarà sempre la povera gente. Spero che le diplomazie delle potenze mondiali sappiano agire con ragionevolezza e celerità per porre fine a questo massacro.
Immaginiamo di essere nel 1990. Il muro di Berlino è stato abbattuto da pochi mesi e la storia ha decretato la vittoria dei sistemi liberal-democratici e capitalisti occidentali. Alcuni di voi ricorderanno quei tempi perché li hanno vissuti. Altri, come me, dovranno fare un esercizio di fantasia.
Ora, facciamo un salto di trent’anni e immaginiamo di tornare al 2020. Non è ancora scoppiata la pandemia, la nostra vita sembra normale, ma ci sentiamo più poveri rispetto a trent’anni fa. Come mai?
Se analizziamo i dati a nostra disposizione, infatti, scopriamo che l’Italia, nel periodo tra il 1990 e il 2020, è l’unico paese del gruppo OCSE in cui i salari medi annuali reali sono decresciuti. Un triste primato che dobbiamo confrontare alla crescita del 31% dei salari francesi, del 33% di quelli tedeschi e del 92% dei salari sudcoreani. Inoltre, prendendo a riferimento le linee di povertà da lavoro, possiamo vedere che la linea di povertà assoluta da lavoro si è assestata al di sopra del 25%, toccando picchi superiori al 42% in alcune regioni del meridione.
Questo è il risultato del combinato disposto di fattori politici ed economici, nazionali e sovranazionali. Qui, mi preme sottolinearne due. Il primo è il nostro sistema imprenditoriale che ha dimostrato di essere parassitario e corporativista, basando la propria forza e competitività sul taglio dei salari e sull’intervento dello Stato, piuttosto che sulla propria capacità di investire e innovare. Il secondo, invece, ci riguarda più da vicino, perché – ad aver favorito questi fenomeni – sono stati anche e soprattutto i partiti di centro-sinistra e i sindacati.
È, infatti, a causa delle politiche dei redditi, della concertazione, della cd. flessibilizzazione (che preferirei chiamare precarizzazione e frammentazione) del mondo del lavoro che siamo arrivati fin qui. I partiti di sinistra, confusi dopo la crisi del socialismo realizzato nell’allora Unione sovietica, hanno riposto i propri strumenti di lavoro, quelli della tradizione socialista e comunista, abbracciando l’ineluttabilità del sistema capitalista e la retorica del merito e delle pari opportunità, pilastri di un sistema neoliberale iper-individualista e conservatore, trasformandosi in partiti baricentrici della politica italiana, quindi estranei alla rappresentanza delle parti, per legittimarsi quali elementi di stabilità in chiave europea e internazionale; mentre i sindacati, ancora oggi organizzazioni di massa, hanno assunto, molto spesso, comportamenti di sudditanza e timidi nei confronti delle associazioni di categoria imprenditoriali e dei governi, mettendo da parte la loro capacità di accendere e regolare il conflitto tra classi, vero sale delle nostre democrazie.
Dunque, che fare? Innanzitutto vanno compresi gli errori e assunte le responsabilità da chi ha creato e favorito questo sistema. Poi, diviene fondamentale capire come ritrovare unità nel mondo del lavoro, riorganizzarlo e mobilitarlo per raggiungere un risultato. In questo, io credo che un aiuto fondamentale possa arrivare dal salario minimo legale, uno strumento presente in 21 Paesi dell’Unione europea. Fanno eccezione solamente i Paesi scandinavi, che hanno una tradizione sindacalista fortissima e una contrattazione collettiva che riesce ancora a garantire risultati; Cipro; Austria e Italia.
Le esperienze della Germania, della Francia e della Spagna raccontano come il salario minimo legale sia uno strumento fondamentale nella lotta al lavoro povero e alle disuguaglianze. È di pochissime settimane fa l’annuncio della ministra del lavoro Yolanda Diaz che il governo spagnolo ha innalzato il salario minimo legale a 1000€ mensili, con efficacia retroattiva a partire dal 1° gennaio 2022, mentre in Germania il salario minimo sarà di 12€ l’ora a partire da ottobre come aveva promesso il cancelliere Olaf Scholz in campagna elettorale.
In un Paese come il nostro in cui i sindacati sono stati indeboliti dalla frammentazione del mondo del lavoro e conseguentemente la contrattazione collettiva non riesce più a garantire dei livelli salariali adeguati al costo della vita, in cui i governi che si sono succeduti negli ultimi trent’anni, compreso il governo Draghi, non hanno avuto e non hanno alcuna intenzione di proteggere le lavoratrici e i lavoratori, in cui l’inflazione dovuta all’incremento dei prezzi delle materie prime rischia di compromettere la serenità e la vita dei nostri concittadini, il salario minimo legale resta l’ultima chance, il salvagente per costruire una alternativa e una prospettiva di sviluppo diversa e migliore.
Il punto non è il se ma solamente il come. A chi obietta che salari alti favorirebbero la disoccupazione, è stato già risposto che non è assolutamente vero e che salari alti sono indice di un buono stato di salute dell’economia. A chi obietta, invece, che il salario minimo legale indebolirebbe la contrattazione collettiva e permetterebbe alle associazioni padronali di fuggire da questa, rispondo che il salario minimo legale deve essere inserito in una riforma più organica, direi globale, del mondo del lavoro, con cui dare finalmente attuazione all’art. 39 della Costituzione, garantendo così la possibilità per i sindacati maggiormente rappresentativi di dare efficacia erga omnes ai contratti collettivi stipulati. Il salario minimo legale, in questo modo, garantirebbe una nuova base di negoziazione, con cui rivendicare nuovi salari dinanzi alle associazioni padronali ed eliminerebbe ogni criticità, soprattutto l’opportunità per i sindacati gialli di sottoscrivere contratti pirata. Inoltre, e qui la consigliera Eleonora Mattia sarà sicuramente d’accordo con me, il salario minimo legale è lo strumento migliore per combattere le differenze salariali tra uomini e donne, grande ostacolo alla parità di genere. 10€ lordi l’ora sono la cifra giusta per iniziare.
Non si tratta di una riforma rivoluzionaria, ma di una riforma necessaria ad affrontare i tempi eccezionali che stiamo vivendo. Per garantire quello che i costituenti hanno brillantemente sancito a chiare lettere, precisamente all’art. 36 della Costituzione, rivendicando la necessità che sia garantito a tutti un salario equo e sufficiente a garantire a sé e alla propria famiglia un’esistenza libera e dignitosa, non possiamo provare a riproporre strumenti, come gli accordi del biennio ’92 –’93, che hanno dimostrato non funzionare. Abbiamo bisogno di andare oltre, di provare a costruire un Paese nuovo e, per farlo, abbiamo bisogno di chi la sinistra abbia intenzione di praticarla e non di annunciarla. Non si tratta di questioni divisive che mettono a rischio le sorti del Paese, men che meno di strade di cui non conosciamo gli effetti: si tratta solamente di avere la volontà politica di mettere al centro la vita delle nostri lavoratrici e dei nostri lavoratori. Il salario minimo legale è l’ultimo treno con cui dimostrarlo.