Riflessioni elettorali reatine

di Massimo Giorgi

Il 12 giugno ci saranno le elezioni amministrative e anche nella provincia di Rieti si toccano temi importanti. La cosa più interessante per un orecchio attento risulta essere l’eco lasciato da alcune dichiarazioni di esponenti politici, di candidati o di semplici attivisti.
Chiamarli “echi” ha senso dal momento in cui essi riflettono un qualcosa, sono parole o sottotesti causati da un contesto, da dei valori oppure da delle credenze. Insomma, non sono propriamente dichiarazioni coscienti in alcuni casi.
Risulta interessante allora scrivere su di essi e innestarli sulle tattiche e su messaggi riproposti ovunque, specie nel capoluogo di provincia -Rieti- che, nonostante le sue peculiarità (dimensione e posizione geografica), riflette in maniera attuale dinamiche nazionali e generali.
Scegliamo un inizio: le liste e i candidati al consiglio comunale!
Conoscete il detto per il quale “fatta la legge, trovato l’inganno”? Ecco, questo succede in riferimento alla composizione delle liste a sostegno del candidato sindaco.
La presenza di diritto delle donne all’interno delle stesse, istruita dalla regola della c.d. quota di lista e dal sistema della c.d. doppia preferenza, svolge un ruolo positivo e uno diciamo (potenzialmente) residuale. Rispetto al primo aspetto, possiamo dire che queste regole concedono effettivamente più spazio e possibilità di partecipare attivamente ad un genere sottorappresentato nella politica. Parliamoci chiaro, se non ci fossero queste norme gli spazi concessi alle donne sarebbero molti meno.
Rispetto al secondo aspetto, però, possiamo senz’altro dire pacificamente che il sistema patriarcale rimodula e reinterpreta le misure di cui sopra, rendendole appetibili al foraggiamento del sistema stesso. In che modo? Semplicemente sfruttando la situazione di fatto, arginata parzialmente da quella di diritto; data la scarsa partecipazione politica femminile (con specifico rimando soprattutto al contesto politico reatino) i capilista hanno pensato bene di riproporre, nel 2022, un gioco ben noto. Rappresentano oltre la c.d. quota di lista il genere femminile e poi sfruttano il sistema della doppia preferenza per giovarne in prima persona, facendo “tandem” unidirezionali.
La cosa positiva, al contrario di quanto si voglia pensare, è che le regole e i paletti disposti dal legislatore porteranno sicuramente nel lungo periodo a destrutturare questa pratica e a renderla accessibile all’opportunismo politico fuori dal contesto del genere. Infatti, nonostante tutto, nuove generazioni si affacciamo alla partecipazione politica e, insieme anche a parte delle vecchie, già sono più coscienti di questi “modi di fare” settari e uccidenti una sana partecipazione.
Prima di istruire l’altro tema però, va senz’altro accennata la questione delle liste fantasma formate da militari candidatisi soltanto per sfruttare il mese di aspettativa retribuita. Il tema è stato posto a livello provinciale dall’on. Fabio Melilli e da lì ne è nato un dibattito che troverete senza difficoltà sui giornali locali e nel profilo Facebook dell’onorevole.
Arriviamo però al secondo aspetto di questo articolo, e cioè agli echi di cui parlavo all’inizio. L’accaduto che ha iniziato a spingere le lettere di questa tastiera è stato il video del candidato sindaco di Rieti del Terzo Polo: Carlo Ubertini.
Tre cose del suo video -che sarà usato per introdurre e spiegare le diverse questioni- hanno fatto fiorire in me un interesse già crescente e nato sulla base di dichiarazioni, di commenti e interventi precedenti a tale video, di candidati e no. In ordine: I nomi delle liste elettorali, le competenze e le divisioni ideologiche.
Rispetto al primo punto, nonostante la sua interessante e sintetica disamina, dobbiamo subito porre un limite al suo ragionamento: è prettamente formalistico e, nella parte in cui non lo è, risulta sì essere una critica sensata ad un contesto, ma da addetti ai lavori. Insomma, quello che tecnicamente sbaglia il candidato è su chi puntare il dito, più che altro.
Nel merito, il sig. Ubertini afferma che molti nomi delle liste a sostegno degli altri due candidati sindaco non abbiamo un significato politico, cioè che non rimandino a nulla di politicamente significativo e a nessuna appartenenza (nell’ambito delle dottrine politiche, aggiungo io), risultando essere soltanto congiunturali macchine genera voti, morenti e destinate ad estinguersi nel periodo successivo alle elezioni.
Il ragionamento risulta essere condivisibile, ma soltanto se calato nel contesto più ampio della partecipazione politica, della spoliticizzazione dei contenuti e quindi dei contenitori.
Quello che invece fa egli è semplicemente scagliarsi (nella congiuntura che critica) contro gli artefici di questo, non comprendendo che più che razionali e coscienti esecutori, sono banalmente degli operai della politica postmoderna. Vittime e carnefici di un contesto politico-sociale-valoriale dato e considerato (forse) immutabile da loro stessi.  
Rispetto al secondo punto, invece, si entra in una sfera filosofica che comprende anche il punto restante, capiremo dopo come. Il tema delle competenze è molto diffuso e retorico e viene usato trasversalmente da destra e sinistra. Il Candidato del Terzo Polo ne parla, ne parlano i commenti e tantissimi altri intervenuti. Tutto ciò rientra in quella che possiamo approssimare come un’ideologia -nel senso marxiano nel termine- prodotta dal contesto neoliberale dell’ultimo quarantennio. Le competenze, non si sa quali e perché, aiuterebbero e innalzerebbero di diritto -automaticamente- un candidato rispetto ad un altro.
Non è questo lo spazio preposto per trattare in maniera esaustiva questo tema. Posto però che il sindaco, così come gli assessori e finanche i consiglieri si ritrovano a fare politica e visto che essa rimane mediazione di interessi, scelta dei fini e anche in buona parte scelta dei mezzi, quali sono le competenze date che rendono qualcuno migliore di qualcun altro? Unica cosa certa è la sottotraccia uniformante e spoliticizzante di questa argomentazione: la competenza è qualcosa che è oggettiva e fuori dal cerchio valoriale, fuori dalla diatriba delle fazioni politiche, fuori da alternative possibili.
Rispetto al terzo punto, infine, c’è da riprendere quanto sopra ed ampliarlo. La fantasia velata che punta a destrutturare la contrapposizione politica -l’esistenza di una sinistra e di una destra- è genitrice della riflessione presente qui sopra ed è un prodotto prettamente neoliberale. Il soffocamento della complessità, delle tematiche divisive, il loro spostamento sul piano del bene o del male risultano essere metodi atti alla spoliticizzazione. Cosa produce questo? Omogeneità e cioè la repulsione di tesi e soluzioni alternative, l’esclusione di paradigmi differenti e il soffocamento alla nascita di nuove potenziali dottrine politiche. Risulta quindi esserci sempre una sola soluzione efficiente, una sola strada da percorre, un solo modo di interpretare il mondo e soltanto degli interessi precisi da salvaguardare.
Nonostante ciò, due sono gli appunti da fare rispetto al futuro. La prima è una considerazione sistemica e cioè che le evoluzioni sociali non possono essere cancellate, al massimo accelerate o rallentate. Ogni sistema di potere produce esattamente il suo nemico. La seconda invece è una considerazione politica, strettamente collegata a quanto appena detto e cioè, che nel sistema dato l’unico germe di mutamento -miglioramento- radicale risultano essere le nuove generazioni politiche che si apprestano a partecipare, o che già partecipano. Non basta però certo osservarle; c’è bisogno di prendere parte, discutere e operare. C’è l’esigenza di costruire nuovi spazi di partecipazione scrollandosi di dosso tutto ciò che impedisce di esprimere a pieno il potenziale innovativo della nostra generazione. È ora di scendere in campo!

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